Pensioni, Mefop: Solo 1% complementare viene investito nell’economia italiana

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(Il Ghirlandaio) Roma, 24 giu. Solo l’1 per cento dei 116 miliardi di euro che gestiscono i fondi di previdenza complementare viene investito nell’economia italiana, lo ha detto il presidente di Sviluppo mercato dei fondi pensioni (Mefop), Mauro Marè, durante un’audizione davanti alla commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.

Per Marè in un periodo di credit crunch come questo sarebbe utile aumentare questa quota per supportare le aziende italiane ma deve essere un procedimento volontario, senza vincoli di portafoglio. “La cosa migliore – ha spiegato Marè – sarebbe che i fondi insieme alle casse costruiscano un veicolo ad hoc di cui abbiano la quota di maggioranza e la sorveglianza, mentre la gestione potrebbe essere messa a gara o affidata a un soggetto pubblico. Fondi e casse di previdenza ne stanno già parlando, potrebbe diventare il fondo strategico italiano numero 2 dopo quello di Cdp”.

Per incentivare questi investimenti senza inserire obblighi il Governo potrebbe “creare un framework normativo che lo permetta, mantenere i vantaggi fiscali che già ci sono e esercitare moral suasion”.

Rilanciare la previdenza complementare in Italia con un secondo round di silenzio assenso che però, in caso di mancata risposta iscriva il lavoratore ai fondi di previdenza complementare, il contrario di quanto era avvenuto alcuni anni fa quando in caso di silenzio i soldi rimanevano in azienda come Tfr. E’ la proposta che il presidente di Mefop ha, poi, fatto.

La previdenza complementare in Italia è arrivata al 27%, una cifra ancora bassa se si paragona agli altri paesi e si considera che negli ultimi 15 anni il rendimento dei fondi ha superato sempre quello del Tfr lasciato in azienda, tranne che nel 2008 e nel 2011, gli anni delle grandi crisi finanziarie. Questo strumento per Marè è anche utile perché allevia lo scontro generazionale tra contribuenti attivi, che versano cioè contributi e chi ha già terminato la vita lavorativa e li riceve, perché si ritirano soldi investiti di persona e non pagati da altri.

Per incentivarlo, oltre a questo secondo round, secondo Marè il Governo potrebbe indire una campagna di comunicazione e educazione finanziaria per sensibilizzare i cittadini, anche perché chi ha scelto la previdenza complementare fino ad ora in media ha un reddito e un livello di istruzione maggiori, quelli cioè che ne hanno meno bisogno.

Un ulteriore mezzo per incentivare questo passaggio alla previdenza complementare potrebbe essere quello di un’ulteriore riduzione della tassazione, passare cioè a un modello in cui non vengono tassati né i contributi versati, né il rendimento del fondo, ora tassato anche se con aliquota agevolata, ma solo le prestazioni del fondo, come avviene in molti altri paesi. “Questo naturalmente sarebbe possibile solo se le finanze pubbliche lo consentissero – riconosce Marè – ma non costerebbe molto, qualche centinaia di milioni di euro, e potrebbe aiutare la diffusione della previdenza complementare”.

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